venerdì 30 gennaio 2015

Esercitazione Prof.Bruni


La ragazza nella foto è una grande fan di Madonna e il suo tatuaggio ne è la prova. Anche i suoi amici sono dei grandi fan di Madonna, e grazie ad internet ne ha incontrati molti altri.
Ora hanno deciso di farsi finanziare un libro fotografico tramite kickstarter.com per poter condividere la loro passione.
Sono al 59% ed hanno solo 70 ore per completare il progetto.

Che tu sia un fan di Madonna o meno dovrai ammettere che tutto ciò sta per diventare un fatto reale.

Roberto Nunziata - A019

domenica 5 ottobre 2014

M@kers vs Customers

"Se esiste non mi basta" 
sublimazione romantica del desiderio è l'essere lontano e irraggiungibile. Cosa accadrebbe se invece ciò che desideri fosse possibile solo con un po' di impegno e curiosità?

I makers non cercano scuse.
Escono presto di casa, da scuola, dal pub e lo fanno. Non perdono tempo al bar della stazione, in attesa del treno buttano giù due righe di codice Android o meglio direttamente in C.

I m@kers non entrano dalla porta.
Se c'è una porta di servizio basta fare il Plug-in e aggiornare la biblioteca, quante cose puoi fare con un nuovo firmware!

M@kers don't sleep.
Per questo possono permettersi di offrire tutto questo a costo zero:


 Cucina scomponibile
 Fashion occhialeria
con elementi
componibili e scalabili
 Fashion, borse e scarpe in PVC, carbonio o legno

 Plc systems Arduino compatibili 
che usano bluetooth e software modulare android
Internet of things per la governance
e la stampa 3d

giovedì 25 luglio 2013

Del 'Guerrilla Artist' e altri mutanti sociali.

Courtesy, Instagram


Italia, 41° parallelo, luglio 2013 e c'è il sole. 
Riflessi, sui miei occhiali nero-specchiato, gli strobo di una piscina azzurro-blu e il bikini con inserti oro della Miss esclusa, in più le palme e i rigogliosi rosmarini illuminati dal colore della bella stagione; mi ritrovo qui, come ogni anno, all'ombra dell'ombrellone CocaCola a decidere tra il Cucciolone della mia infanzia e il Magnum della mia seconda pubertà. 
E' una scelta che pondero sempre con la massima attenzione e in cui non mi faccio guidare da un unico 'driver' (fame, sete, gola, prezzo, immagine) ma da tutti questi fattori combinati  insieme con un tocco di nuovo: la noia - che per fortuna considero solo da poco. Così mentre provo a chiedere alla vicina d'ombrellone la settimana enigmistica o in alternativa la possibilità di unire con un pennarello rosso i puntini sparsi sul suo costumino a pois, mi rammarico di nuovo della mia anacronistica mancanza: non avere lo smartphone. 
A quest'ora potrei essere qui a spassarmela on line  con quell'amico che pubblica reportage di intimo dalla sua 'postazione mobile' sulla spiaggia di Benidorm, aspettando di digerire il Maxibon di prima, terribile compromesso giovanilistico, o ancora meglio potrei messaggiare con la tipa che ha fatto del sua gonna a fiori un elemento di design grazie 12designers. 
Potrei, potrei. 
Vorrei chiedere, piuttosto, all'amazzone sdraiata qui accanto se le andrebbe di posare per un paio di foto da mandare a due amici londinesi, miei  e dell'arte, che ho da anni in rubrica sotto la lettera 's' (Saatchi & Saatchi) o più semplicemente se riesce a immaginare come starebbero le sue meches con un filtro toaster di Instagram. Vorrei, ma non posso, per il motivo di prima e quindi mi limiterò a sfogliare il libro tascabile che ho portato con me, senza cavetti né custodie antischizzo.

Mi accorgo però che non si può scrivere su un blog online aspettando di tornare a casa e riaccendere un Pc assemblato nel 2003, in cui resistono transistor che si possono considerare eterni al confronto con ogni produzione post 2000. Non tutti sanno, infatti, che per colpa della la strizza globale del 'millennium bug' oggi nessun produttore informatico si azzarderebbe a fare un prodotto che funzioni per più di dieci anni 'vai a vedere che...' dovessero incanalarsi tre cifre uguali sul display si materializzerebbe Doc con tanto di fulmini a ciel sereno e orologi che girano al contrario. Ok, direte voi, almeno l'invasione delle auto americane come la Dmc è esclusa visto il casino di Detroit, ma tutto il resto ve lo meritate pienamente voi tecnomaniaci, eccome.

Sono alla quinta pagina del libro e mi accorgo che, malgrado i 20 euro spesi tra ingresso, sdraio e gelato sto leggendo dei versi che mi portano 
lontano dalla mia piscina, piccola fonte di freschezza e di vitalità meridionale e collinare. Devo contestualizzare e fare come quel movimento artistico nato su Pinterest
 che dal taglio del soggetto all'associazione d'idee che riesce a evocare in uno scatto ben fatto sembra aver assorbito tutto ciò che hanno scritto 
di fotografia Ritchin e Barthes. Interpreto, allora, l'assenza nel mio zaino di una reflex wi-fi o di un iPhone come una precisa scelta di campo,
quella dell'egoismo della fruizione artistica, che sfocia persino nell'esercizio consapevole della disinformazione degli altri sui cavoli miei.
Starò qui tutta l'estate a godermela al sole senza che voi possiate invidiarmi o godere con me.
Questi non sono artisti né sono social-tipi, forse sono solo i fotogiornalisti moderni (quelli tradizionali, tra cui un premio Pulitzer, sono già stati tutti licenziati dal Chicago Sun-Time); sono i nuovi occhi del mondo, scevri da ogni appartenenza ideologica, valoriale e a volte anche tristemente
culturale, che volenti o nolenti ci raccontano il mondo come farebbero gli ospiti immaginari di Emily Dickinson:

Un ospite veloce, senza piedi,
cui offrire una sedia era impossibile
come invitare l'aria
ad accomodarsi sul sofà. 

lunedì 27 maggio 2013

L'arte di smontare le cose (3)

- racconto -




"Oh my..."
Silenzio.
Hope aveva rotto un altro bicchiere.
Inevitabilmente.

Non succede spesso a chi si destreggia con sicurezza tra la cucina il tinello di far così tanti danni quanti ne aveva causati Hope dal suo arrivo a casa Giacomelli. Un danno trascurabile se non fosse stato per la maniacale precisione e correttezza con cui trattava le cose. L'integerrimo Hope che non rompe i bicchieri, che lava i piatti dopo ogni pasto, che piega i vestiti per offrirli all'armadio, che restituisce le case intonse a chi gliele affida. Riposti in un cassetto scomodo e inaccessibile i residui del senso di colpa e la scoperta di una nuova imperfezione, trovò il tempo di passare la scopa sul pavimento della veranda e di riporre residui nel cestino.
"Duralex" lesse sul fondo del bicchiere "sed lex" continuò "se qualcosa cade a terra si rompe e questo è inevitabile".
Il flusso di coscienza fu interrotto da un incedere sostenuto lungo il vialetto sottostante e una voce si affacciò dal basso della veranda illuminata.
"Bo'nasera. Come và? V'ho portato le ciliegie... 'n ce l'avete queste a casa vostra!" e una risata a metà tra il cordiale e lo sfottò.
"Buonasera" rispose Hope ancor prima d'affacciarsi.
Appoggiò le mani sulla balaustra e guardò in basso, tre metri più sotto un cesto di ciliegie dalla capienza di diversi chili, cinquanta centimetri più in basso una faccia tonda e sorridente e due guance rosse. Un omaccione panzuto e sporco, ridanciano dio bucolico e forte, gli sorrideva e le ciliegie poste sul capo s'agitavano come biglie.
"Venga sù. Le offro un caffè per ringraziarla" e scrutando il libro sbiadito sulla sdraio nell'angolo del balcone si fece forza e aggiunse
"magari".

L'alito di Bruno era una cantina. A fine giornata aveva introdotto probabilmente un gallone di vino e gassosa, essendo giugno inoltrato; in un altro periodo dell'anno gli si poteva anche scontare qualche bottiglia di gassosa.
"Mia moglie m'ha detto che oggi siete stato al bar" disse Bruno appena accomodatosi. Hope annuì e gli passò lo cherry attraversando il tavolo.
"Grazie, e quindi anche suo figlio Marco" aggiunse.
"Good guy, ehm.... bravo ragazzo. Era con gli amici di scuola".
"L'ultimo giorno. Per fortuna è finita e da domani mi aiuterà un poco al campo. E' un bambino educato e intelligente, ma non ha voglia di stare fuori casa".
"E' normale che alla sua età preferisca conoscere il mondo sui banchi, attraverso i libri, piuttosto che stare con lei in un posto che conosce già".
"E' un ragazzo troppo intelligente. Il mondo se lo mangerà se non s'impratichisce un po'".
"Si chiama curiosità..." replicò Hope.
"Sarà" sospirando Bruno girò gli occhi sorridenti e aggiunse "dovrebbe vedere che lavoro ha fatto alla falciatrice. Quando dico che è uno che merita, non lo dico perchè è mio figlio, lo dico perchè è un genio. Ci sa fare ci motori e pure coi fili elettrici. Ho girato senza faro per più di un anno prima che si degnasse di darmi una mano. Gli ho detto di farlo e l'ha riparato in un pomeriggio".
Hope lo guardò sorpreso e assaggiò un'altra ciliegia, dopotutto le prime quattro servivano solo ad ingannare l'imbarazzo di avere un ospite inatteso.
"Sono ben altri i motivi per cui lamentarsi di un giovanotto come lui. Mi creda sono un insegnante." pensò ai giovani simpatizzanti dei Red Devils e come a 15 anni sapessero usare un coltello a farfalla, far volare insulti razzisti, testare anfibi e tirare un calcio sul ginocchio del compagno più grosso. Colpa dello cherry, forse, ma li ricordava come dei Mr. Hyde della domenica, un branco di piranha pronti a sbranare il prossimo per una fede diversa. Stava volando troppo alto, approssimandosi a quei garage con le serrande arrugginite fucine di hooligans, mentre il panorama mite che si dipanava al suo sguardo era formato da lucciole idilliache e qualche trota al massimo, nel fiume a valle.
La notte si avvicinava lieve al suo culmine stellato e il viso di Bruno risplendeva come una seconda luna, assorto nella brezza, tra un alito di vento e un dito di liquore, disse
"Vuole che le mandi il ragazzo? Per darle una mano nei prossimi giorni. Potrebbe essergli utile stare con lei, imparare l'inglese che a scuola non s'insegna e magari lei che è una persona acculturata lo potrebbe capire meglio. Vorrei proteggerlo, che diventi forte è il mio unico desiderio".
Hope era un po' seccato della richiesta, ma cordialmente accettò. Non era il caso di dirgli che non avrebbe fatto gli straordinari e che la scuola non gli mancava affatto. Era venuto in vacanza per visitare una regione remota del sud Italia, perdersi tra gli ulivi e ricomporre il puzzle che Christine le aveva rovesciato nella testa. I pezzi di cartone si disfacevano ogni sera, immersi nell'acool, e si ricompattavano al mattino dando forme nuove di cartapesta ai primi pensieri della sera, in un labirinto senza uscita e come un gioco senza fine. 
Bruno poi si alzò, assestandosi sulle scarpe grosse e polverose, e lo salutò con una forte stretta di mano. La notte fluiva a pochi metri dal suolo caldo e anche se non era la prima storia che finiva male, Hope aveva perso la speranza di uscirne indenne. Era partito con l'idea di aggirarsi come un satiro nudo nella foresta di ulivi di una Italia sconosciuta e antica, per risvegliarsi tra le braccia una donna sempre diversa con gli occhi neri, poi verdi, poi castani, in un crescendo di illusioni, che sono sempre utili a vivere.
S'addormentò sulla sdraio nell'angolo, ebbro e tranquillo e l'unica donna a parlargli quella sera fu Grazia Deledda attraverso le 'Canne al vento'. Un buon risultato dopo tutto: aver zittito Christine.


domenica 24 febbraio 2013

Ovest

La mattina si alzo' fredda di un vento dell'ovest, mentre Lana scostava i ricci a svelare il grigio della domenica. Quel giorno aveva fatto due promesse, che non aveva alcuna possibilita' di mantenere: l'una alla bandiera, l'altra a Dio.
Affido' la bandiera alla mezza bottiglia della sera prima, ce l'avvolse dentro come il ceppo tra le piume dell'aquila, e corse cosi veloce che i tendini indolenziti incominciarono a farle male e le stelle del piumaggio a riflettere la luce del cielo.
Vide Dio sorgere sulla schiena del motociclista che con 30$ finanzio' la sua chiesa tatuata di benzina e prospettive. Il rombo della strada era caldo e accogliente come la bocca di un serpente messicano, retto sulla propria coda. Verso l'ovest, dove il sole sorge invece di tramontare.



martedì 11 settembre 2012

L'arte di smontare le cose (2)


(Adrenalina)



L'arte di smontare le cose (2a parte)
- racconto -



L'inglese fece scorrere la mano intorno al piattino seguendone il rilievo colorato con le dita. Così come la naturalezza dei gesti descrive le nostre azioni meccaniche solo fino a un certo punto, così l'indice si blocca su una fessura del contorno. Laddove la liscia rotondità del bianco è fessa da un triangolino scuro, punto in cui avviene lo sfregamento con altre decine di tazzine e sottobicchieri, lì si ferma la sua attenzione, e volse la testa verso la strada allo strillare dei bambini e iniziò un movimento impercettibile con l'unghia. 

Gli scolari si rincorrevano sul sentiero tra il fiume e il bosco alzando una nuvola di polvere che avvolgeva le seconde file. Visti da lì sembravano uno stormo di grembiulini strappati dal vento ai balconi delle case, e sospinti  nel campo come un pallone sfuggito alla partita. Lui li guardava divertito e indifferente. Finché dalla scia emersero dei contorni scuri, altri bambini rimasti un po' indietro, forse quattro. 
Hope strizzò gli occhi e gli apparvero i quattro: diversi, immobili e silenti nel flusso colorato che li conduceva. Attraversarono anch'essi la coltre di grida e scalpiccii che li separava dal Bar 2000 e incrociarono il suo sguardo. Uno di loro seguitò parlottando, gli altri sembrarono fermarsi. Il piccolo del gruppo si rovistò nelle tasche e poi tese le mani verso i suoi compagni dell'ultima fila, questi fecero altrettanto e dopo alcune frasi che sembravano gridate come ordini, si lanciò di corsa verso il bar. 
Hope lo accolse dalla sua scrivania di fòrmica sull'uscio e gli disse:"Ciao". Il ragazzino sorrise il suo saluto svelto e si avventò all'interno con la colletta tra le mani. Hope l'attese all'uscita, era di buonumore e ancor di più era curioso di scambiare almeno una battuta con una pulce danzante. 
"Buongiorno, cos'hai comprato?" 
"Mars, Raider e KitKat" disse il ragazzino per nulla spaventato dal tono serio del signore al tavolo, anzi aggiunse "se poi mi comprate voi l'ovetto, signo'?"
"Venite signora, please. Non ho capito cosa vorrebbe il ragazzo, ma per favore dategliene uno."
"L'ovetto Kindèr?" urlò la porta. 
"E ovetto sia" rispose. 
Marco "o'piccirill" sorrise ai compagni e gridò loro "aspettat' '". Un momento ed era di nuovo fuori, sotto il portico, con il suo piccolo regalo nella mano. Ringraziando il signore sull'uscio aggiunse: "ma voi non siete di qua, vero?".
"Vengo dalla Gran Bretagna" e vedendolo un po' perso chiese "conosci?".
Marco scosse la testa, sapeva di un'isola del nord Europa dove aveva giocato a calcio Grame Souness, ma quella era la Scozia. La figurina di Trevor Francis, invece, che valeva almeno altre tre Panini, sfoggiava la bandiera inglese (quella dell'Inghilterra!), malgrado il fatto che ora giocassero nella stessa squadra: confusione completa.
"Sono inglese" precisò. 
"Ahh, certo che conosco l'Inghilterra, per chi mi hai preso?" sorrise e si girò a cercare con lo sguardo gli amici lasciati ad aspettare e invece se li trovò addosso. Erano corsi anche loro verso il bar e stavano per strattonarlo per prendersi quanto dovuto. Un groviglio di mani si avventò sul bottino. I bastoncini colorati strappati via come more dal cespe e poi un fragore di carta, plastica, gridolini e risate.
"Mio" urlò Marco "l'ovetto è mio!" e difendendo il suo diritto col gomito alzato, si girò per sfuggire alla presa. Gli saltò via dalla mano e cadde a terra. Girò lo sguardo agli altri, inarcò le sopracciglia e stava per azzuffarsi quando Hope entrò nel mezzo del cerchio costituito dai quattro.
L'inglese raccolse l'ovetto, floscio ormai come un palloncino sgonfiato, e lo ravvivò tra le mani. Si chinò portando lo sguardo all'altezza dei suoi giovani interlocutori e chiese: 
"Chi sarebbe così gentile da spiegarmi la differenza tra quest'uovo e gli altri? E' rotto, è sciolto o magari s'è sgonfiato?".
Il quartetto si guardava , Marco attento solo su ciò che rimaneva del suo uovo di cioccolato. Francesca e Jualid si scambiavano un suggerimento, erano dell'idea della rottura ma aspettavano di sapere cosa ne pensasse Hafsa, l'amica più grande, colei che parlava per prima. 
"Si è rotto, che domanda! Se non fosse caduto, invece..." alzò la testa Hafsa,
"...se fosse caduto, invece, in una padella?" replicò Hope.
"Avremmo rovesciato della Nutella a terra" di nuovo lei prontamente,
"E chi saprebbe ricomporre un uovo di Nutella?" le chiese Hope.
La portavoce restò in silenzio questa volta, e tra tutti solo Marco sembrava non essersi accorto del recente scambio di battute tra la sua compagna e lo sconosciuto benefattore, fin quando, continuando a fissare la mano piena di cioccolato e carta stagnola di Hope, esordì: 
"Saprei ricostruire quell'uovo, signore. Se me lo lascia fare, leccando i bordi, seguendo le linee e i contorni lo rifarei tondo, come gli altri." 
"Se si fosse sciolto, invece, potresti solo spalmarlo sul pane per mangiarlo, Marco. A quel punto il nostro uovo, pur conservando il suo gusto al cioccolato, avrebbe perso la sua rotondità." riprese Hope.
"Sarebbe diverso" aggiunse Marco,
"ma non nel gusto" replicò Francesca.
"Non così tanto" riprese Hafsa.

domenica 2 settembre 2012

Il castello di Santa Barbara (tributo a Jacques Prévert)

Ondina (particolare) - Bosch
Muovo gli occhi sul Mediterraneo
e mi sollevano le palme mosse
dal russare tronfio del cemento.

Rombano gli aerei sui saraghi Illuminati,
la luna falcia le caviglie e
cadono in soggiorno due amanti stranieri.

(Marc Dupree)


Marc torna dal suo ultimo viaggio con il bagaglio più leggero. Ha lasciato i libri che ha letto agli amici che incontrava sulla strada e tratteneva per sé solo alcune righe scritte a matita sul moleskine de toda la vida. Sul bordo ha disegnato un pesce e una coppia che cavalcandolo si tuffa in mare, come in viaggio verso un antico continente fulgido eppure dimenticato, lasciandoci con una domanda che non gli faremo mai: "non avrai incontrato l'ondina, Marc ?".
Questo frammento l'ha lasciato cadere a terra in corridoio, io e Max lo abbiamo letto, e al voltare la pagina era annotata una poesia di Prévert di sessant'anni prima.

Un'arancia sul tavolo 
Il tuo vestito sul tappeto 

E nel mio letto, tu 
Dolce dono del presente 
Frescura della notte 
Calore della mia vita.

Alicante, di Jacques Prévert